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Doveva averne di “pelo sullo stomaco” il Papa Benedetto XV se, dopo aver affrontato le  “potenze” europee denunciando la “inutile carneficina” della Grande Guerra, un anno dopo la  fine della stessa, nella lettera enciclica “Maximum illud” (La grande e sublime missione”)  prese posizione contro le stesse “potenze” coloniali e le loro manovre per servirsi anche dei  missionari per i loro fini.   Batte la sella per battere il cavallo e dice ai missionari: “Ricordatevi che voi non dovete propagare il regno degli uomini ma quello di Cristo, e non aggiungere cittadini alla patria terrena, ma a quella celeste… Sarebbe questa una delle più tristi piaghe dell’apostolato…” e continua: “Ci recano gran dispiacere certe Riviste di Missioni, sorte in questi ultimi tempi, nelle quali più che lo zelo di estendere il regno di Dio, appare evidente il desiderio di allargare l’influenza del proprio paese”, parole che a quel tempo suonavano fuori dal coro.  Eravamo all’apice dell’era coloniale, sanzionata dalla conferenza di Berlino del 1854-55 che  attribuiva all’effettivo occupante la proprietà del paese africano rivendicato.   Tant’è che nel trattato di pace del 1919 le colonie tedesche furono distribuite tra i  “vincitori”,  senza tener conto dell’enorme tributo di sangue versato da caduti africani reclutati a forza.  Come dire, “siccome ti ho preso la stalla, mi tengo pure i buoi!”. Solo che non era di buoi che  si trattava, ma di milioni di persone che, essendo africane, non avevano il diritto di mettere  bocca. Ne è passata dell’acqua sotto i ponti da allora, cent’ anni giusti giusti  e con ragione Papa  Francesco ha voluto ricordare questo anniversario.   Difatti la lettera enciclica “Maximum lllud” ha segnato l’inizio della moderna riflessione sull’attività missionaria della Chiesa,  riflessione che, tra documenti stupendi dei Papi successivi e del Concilio da una parte e svarioni “teologico-pubblicistici” dall’altra è  continuata e continua a tutt’oggi.   Papa Francesco ha voluto ricordare quell’evento indicendo per il presente Ottobre 2019 un mese missionario straordinario,  che  ovviamente non significa solo una raccolta fondi un po’più consistente del solito: troppo riduttivo, anzi, addirittura un travisamento  e un autentico tradimento.   Per questo nel suo messaggio tenta di sminuzzarci un po’ di quanto la Missione rappresenta per un cristiano, per ogni battezzato,  anche per chi alle volte “non si ricorda che è domenica”…  E sceglie il titolo “Battezzati e inviati”.   Intendiamoci, non vuol dire che i battezzati magari sono anche inviati, o che tra i battezzati ci possono essere quelli inviati e quelli  che sono lasciati a casa, no, papa Frncesco è chiaro e ci porta all’origine di ciò che chiamiamo “missione”, al Cristo che dice ai  suoi “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi” (Gv.20,21).  Che significa? Significa che “ Dio ha tanto amato il mondo da dare per esso  il suo figlio perché chiunque crede in lui… possieda la  vita “eterna.”” (Gv.3,16). E si parla di vita in pienezza, non di qualcosa che le assomigli; e di questa vita, che è la stessa di Dio, si  dice che tu la “possiedi”, è tua, non ti sfugge come la sabbia che ti passa tra le dita e si perde pian piano….  Se Dio ha dato concretamente, (è un fatto storico, avvenuto una volta per sempre, come dice l’espressione greca usata da  Giovanni) il Figlio, non ritira più il dono il figlio è “donato” proprio perché figlio, fa parte del suo essere.  Questo che significa per noi? Papa Francesco ce lo dice con una espressione  icastica, fulminante.  Vuol dire che se il Battesimo ci fa “figli nel Figlio”, ci fa anche “doni nel Dono”, anche tu perché battezzato, sei un “dono che Dio  “ha fatto” al mondo”; ed ecco l’espressione di Francesco: “ciascuno di noi è una missione”. Notiamo bene: non dice “ha” una  missione, ma “è” una missione. Battezzato e inviato son due termini co-esistenti, l’uno suppone l’altro, lo  “contiene”, non li puoi  separare, proprio perché appartengono alla tua nuova identità di “figlio” che il Battesimo ti ha conferito. Battezzato = figlio = inviato,  o, se preferite: donato (che è uno dei nomi cristiani più belli!)-  Cari amici, noi che “battezzati” siamo? Abbiamo almeno una pallida  idea di ciò che è avvenuto in noi? Ti vengono le vertigini a  pensarci bene!  Chiaro che ci vuole la fede “che ci fa vedere le cose con gli occhi e il cuore di Dio”, come ha detto Francesco poco sopra, cioè nella loro verità e armonia. E tra queste “cose” c’è anche la vita umana “dal suo concepimento fino alla sua morte naturale”. Ed è proprio qui che sta la discriminante, “con gli occhi e il cuore di Dio”, con la luce della fede.   Quando l’uomo, storicamente, ha cominciato a dubitare di ciò che vedeva, ha voluto rendersi conto, giustamente, dei vari “perché”  insiti nelle cose che lo circondano, ha dato inizio al cammino delle scienze sperimentali (uso di proposito il plurale), ma ha fatto un  grosso sbaglio: ha  spento la Luce avuta  in dono pretendendo di vederci bene solo coi suoi occhi. Ed ha acceso un “moccolotto”  dopo l’altro, di quelli a sua misura, di quelli, per intenderci, che mettiamo sulle tombe nei cimiteri! E allora, assieme agli scienziati  veri,  sono arrivati i vari  “buontemponi” che hanno messo in soffitta il Creatore e l’hanno sostituito con un non meglio identificato  ”big bang” da cui tutto sarebbe nato. Scusate, ma io non mi sento proprio un “bigbanghino”, cioè figlio del Big Bang!   [Poi è  arrivato quell’altro a dirci che dal meno nasce il più, contro anche la più elementare legge fisica dell’entropia. Si chiamava Darwin il  buonuomo e ci ha detto…  che siamo figli di “primati”. Permettete? Io non saluterò mai  uno scimpazè dicendogli “Ciao nonno!”. La  sua era e resta solo un’ipotesi: ma le abbiamo dato la cittadinanza di “legge”, chissà perché!?]   Ci rendiamo conto di dove siamo arrivati? Pretendiamo di voler essere “fratelli” senza essere “figli di un Padre”: la fraternità non  viene dal basso, ma la si riceve in dono dai genitori. Scusate, ma a questo punto torniamo ad essere lupi che si contendono la  stessa preda fino a sbranarsi l’un l’altro. Fino a non rispettarci più e a prevaricare sugli altri. Prima lo facevamo su quelli di una  ipotetica “razza” differente. Ma ora, (vorrei sbagliarmi, ma mi sa proprio che no) lo stiamo facendo anche in casa nostra con il  “pensiero unico” sposato anche dalla  Unione Europea! Bisogna essere tutti dalla stessa parte (e la barca si  rovescia), tutti  appiattiti sulle stesse idee, (chissà  perché i   fiori non sono tutti gialli!) e per chi la pensa diversamente si è coniato anche il  termine (orribile!) di “sovranista”.   Intendiamoci bene, io sono in missione in Africa da più di cinquant’anni, ho imparato la lingua  della gente che mi ha accolto e mi  dice pure che l’ho imparata bene, ma non ho rinunciato al bel dialetto brugherese, anzi alle volte mi è servito per interpretare  meglio espressioni della lingua di qui! Non ho rinunciato alla mia lingua e alla mia cultura. Chiaro che non le ho imposte a  nessuno, anzi le ho messe a servizio degli altri per il Vangelo, così come la mia vita e la mia identità, cui non posso evidentemente  rinunciare. Per dialogare veramente non fingo di essere un altro, mi presento per quello che sono con la mia identità che è fatta  anche di storia e di doni ricevuti tra cui il Battesimo. Se no il mio non è più un dialogo, ma una farsa, un imbroglio che impoverisce  tutti.  Cerchiamo di capire bene quello che Papa Francesco ci vuol dire, puliamoci gli occhi con la luce della fede, rimbocchiamoci le  maniche, guardiamoci in faccia… e troveremo cosa fare in questo Ottobre speciale. E non solo.  Auguri!  Dal battezzato vostro concittadino p, Giuseppe Fumagalli (padre Zé per gli amici della missione)
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