Demba
Vi voglio parlare di una grande benedizione che il Signore ha mandato alla
nostra Chiesa di Suzana. Si tratta della morte di uno dei fondatori, capo
comunità, catechista: Demba, una colonna della nostra Chiesa. Verrebbe da
mordersi le dita a perdere un collaboratore di quel calibro, ma si tratta di
capire se l'abbiamo perso o se l'abbiamo guadagnato: mi limito a raccontare
e voi tirate le conclusioni.
Demba si ammalò l'anno scorso. Primo responso medico: ipertensione
intracranica, probabile tumore. A queste latitudini vuol dire condanna a morte.
Ci siamo ribellati, abbiamo tentato qualcosa. Niente, va peggiorando
gradualmente. A Febbraio partecipa ancora ad un corso per I nostri catechisti:
viene col bastone, sostenuto dalla moglie, Maddalena, anche lei catechista e
dà il suo contributo, discute, anima, indica strade da percorrere. Poi rimane
infermo, non si alza più.
Piano piano cerchiamo di fargli capire la sua situazione e lui non si ribella alla
morte, anche se ha sette figli tutti piccoli. Fatalismo? No, anche se
sembrerebbe la prima cosa da pensare in questo ambiente culturale. Per
Maggio programmiamo un altro corso per I nostri catechisti, che coincide con
la visita del vescovo, il quale darà ai catechisti più preparati il mandato ufficiale. Vado a
trovare Demba e gli dico: "Demba, anche a te il vescovo darà il mandato". "Ma come posso
essere catechista se non posso fare il catechismo? Come faccio a andare in giro a fare
catechesi? Ben lo vorrei, ma ormai non mi alzo più!". Gli dico: "Senti, noi abbiamo bisogno
che tu spieghi la lezione più difficile del catechismo: come si fa a soffrire insieme con Cristo.
Dio l'ha affidata a te questa lezione: quella della croce. Te la senti di dirgli di sì?". Mi guarda.
Non risponde. Aggiungo: "Demba, tu sai che lo Spirito dà ad ognuno di noi un compito da
svolgere nella Chiesa. A te ne ha affidati tanti: sei uno dei fondatori della nostra Chiesa, insieme con P. Spartaco Marmugi. Hai guidato I tuoi
fratelli nella vita cristiana. Ora Dio ti chiede quello che ha chiesto a suo Figlio: la croce. Demba, è il lavoro più difficile, ma vuol dire che Dio si
fida di te e ti dà la sua forza per compierlo: la nostra Chiesa ne ha bisogno. Demba, non è un castigo che Dio ti dà, è una missione che ti
affida". Mi guarda in faccia, poi fa cenno di sì, con le lacrime agli occhi. Gli dico grazie, preghiamo insieme e poi esco: non ce la facevo più,
avevo il magone.
Quando il vescovo ha dato il mandato pubblico ai catechisti, Maddalena lo ha ricevuto anche per il marito, davanti a tutta la comunità. Era il 24
Maggio. Sono passati tre mesi e quattro giorni, e Demba ha continuato a insegnarci come soffrire. Poi Dio lo ha chiamato per dargli la sua
ricompensa, il giorno 28 Agosto, come aveva chiamato il padre Spartaco Marmugi il 28 Dicembre '73. Io ero a Bissau per il primo dei tre corsi
estivi di formazione dei catechisti. Il padre Gigi è venuto ed è riuscito a farmi pervenire un messaggio. Sono partito per Suzana (era il giorno
dopo, 29 sabato) e sono arrivato in tempo per fare il funerale, al tramonto.
Maddalena era stata accanto al marito in tutti gli ultimi mesi, senza interruzione, reclusa giorno e notte per assisterlo. Un'altra lezione di
dedizione che sta lasciando il segno.
E la sua famiglia? I cristiani si sono mossi: gli uomini sono andati a vangare per lui, le donne a trapiantare il riso, la pioggia è venuta e pare
stia continuando bene. Se Dio vorrà, anche a loro non mancherà il riso. E l'educazione dei figli? Ho invitato tutta la comunità ad appoggiare
Maddalena e a pregare per loro. Qualcuno già risponde.
Mi diceva suor Maria che una delle prime sere, dopo la morte di Demba, è entrata in cappella. C'era Maddalena inginocchiata, con I quattro
figli più piccoli. Piangeva. Raffaella, poco più di tre anni, dice a suor Maria: "La mamma piange perchè il papà è morto". Simone, cinque anni e
mezzo, si volge alla sorellina e dice: "Non è morto: è andato a stare con Dio".